Come è cambiato il nostro sguardo sul mondo dopo la pandemia?

Il picco dell’emergenza sembra superato, abbiamo attraversato la “Fase 2” ed ora, siamo nella “Fase 3”, anche se più spesso viene usato il termine “ripartenza” o “riapertura”. Parole che fanno sperare ad un ritorno alla “normalità”, parole che mi fanno pensare ad un “voltare pagina” e ritrovare il mondo esattamente come lo conoscevamo. Questa è una illusione, una speranza irrealistica, non si può far finta che il Covid non sia mai esistito. Questa esperienza ha toccato tutti, ognuno in maniera diversa, portando alla luce diversi aspetti, dalla frenesia della vita pre-covid sino ad angosce e paure che forse non credevamo ci appartenessero. Che non pensavamo appartenessero a questa epoca, nel mondo occidentale: la paura della morte ed il senso di impotenza.
Dal secondo dopoguerra ad oggi le preoccupazioni principali sono state quelle di migliorare la durata e la qualità della vita. L’aspettativa di vita è passata da 67,2 anni per le donne e 63,7 anni per gli uomini degli anni cinquanta agli 85,3 anni per le donne e 81 anni per gli uomini (dati ISTAT 2019). Abbiamo visto crescere gli standard di qualità della vita ed affermarsi l’idea del successo personale legato all’immagine. In questo i media, ed in particolar modo oggi i social media, hanno sicuramente giocato una parte molto importante. Questa pandemia ci ha colpito con una forza forse inaspettata, di sicuro ci ha trovati impreparati. Non è mio obiettivo andare ad esaminare i piani e le strategie usate per affrontare il Covid, non ho le competenze e non trovo utile rimuginare su cosa poteva essere fatto diversamente o meno.

Voglio provare qui a guardare cosa questo virus ha smosso dentro ognuno di noi, anche in chi non è stato direttamente colpito, a livello emotivo, Il virus ha fatto emergere paure profonde, come la paura della morte. Indipendentemente dal come si vogliano leggere i dati e dalle differenze tra stati che hanno usato strategie simili in Europa si è registrato un aumento del 39% dei decessi rispetto agli anni precedenti durante i mesi dell’emergenza. La morte nella nostra vita pre-covid era qualcosa di più lontano, spesso legata alla vecchiaia o a lunghe malattie. Questo virus ha ci ha riportato di fronte all’imprevedibilità della vita ed a dover riconsiderare la morte come un elemento presente, tangibile, qualcosa che accade e contro cui si può fare poco o, addirittura, nulla. Questo senso di precarietà e di imprevedibilità può aver fatto risuonare in qualcuno paure legate a lutti o traumi più o meno lontani nel tempo. Delle sofferenze tenute a bada dalle difese della nostra psiche, forse non elaborate completamente.


Una comunicazione non sempre chiara, pareri di esperti in disaccordo e tanta disinformazione non hanno fatto che alimentare questa paura, spalancando, di fatto la porta al senso di impotenza. È opinione comune pensare che la scienza abbia tutte le risposte, è sotto gli occhi di tutti quanti progressi abbia fatto la tecnologia e la medicina. Tuttavia per quanti passi avanti faccia la conoscenza umana molto rimane da scoprire, e chi si occupa di ricerca sa che è più probabile che una scoperta porti a nuove domande piuttosto che a una risposta certa. Anche risposte date per certe possono essere messe in discussione, se supportate da dati ottenuti da ricerche scientifiche (quindi verificabili e replicabili da altri studi). Tuttavia, nella vita di tutti i giorni, poco ci importa di come un aereo faccia a volare, di cosa faccia funzionare il gps del nostro cellulare o la connessione internet, conta solo che queste cose funzionino. Nei mesi del lockdown qualcosa è cambiato, oltre alla paura di morte è emersa anche l’impossibilità di trovare una soluzione rapida, una cura. Questo anche perché i tempi della sperimentazione farmacologica non possono essere istantanei, necessitano di controlli e di studi affinché i risultati possano essere efficaci e sicuri. Il senso di impotenza, la paura, la tristezza possono essere difficili da sopportare e allora ecco la rabbia, una comoda patina per le altre emozioni negative, che per non farle sentire, parla al posto loro, magari cercando un “nemico” in cui poter mettere le proprie paure. Ognuno reagisce alla sua maniera, usando le strategie che meglio conosce per difendersi da qualcosa di inaccettabile. Si può passare dal negare la situazione ed il suo carico emotivo, al cercare un “capro espiatorio” o ad una paura specifica del contagio. Quale che sia la difficoltà che si presenti nel ripartire è importante tenere a mente che per quanto duro sia stato questo periodo siete stati in grado di superarlo. Se il vostro modo di affrontare la ripresa diventa un ostacolo, qualcosa che per proteggervi comporta dei limiti che vi stanno stretti potrebbe essere il caso di rivolgersi ad uno psicologo per elaborare questa difficile esperienza.

1https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/morti-covid-tutte-bugie-dell-europa-ecco-dati-reali/1c28ca00-88b3-11ea-96e3-c7b28bb4a705-va.shtml?refresh_ce-cp